101 storie sulle Marche e non solo…

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OT, cioè off topic o come si diceva una volta “fuori tema” con il mio nuovo libro, 101 storie sulle Marche che non ti hanno mai raccontato. Un po’, non del tutto, in parte, però sono giustificata. 101 storie sulle Marche che non ti hanno mai raccontato è uscito nei giorni scorsi e questa volta niente – o poche – regine e principesse. Una collega mi ha chiesto se avevo cambiato strada. No, assolutamente no, questo è un percorso parallelo nato da una richiesta dell’editore (e della mia meravigliosa editor) e motivato dal fatto che le Marche sono la mia amatissima regione. Ho sempre detto che sono “orgogliosamente marchigiana” anche se non è facile stare in questa terra di mezzo, poco conosciuta, abbastanza lontana da tutto e da tutti, mal collegata – non dico con il mondo, ma con il resto dell’Italia – dove provincia e provincialismo sono nello stesso tempo valori negativi e positivi. Cioè se Guccini ha cantato la “grazia e il tedio a morte del vivere in provincia” pur abitando a Bologna cosa avrebbe potuto dire fosse stato qua?

Insomma detto ciò ecco qua le mie storie sulle Marche, che non sono tutte, sono le mie personali, quelle che conosco meglio, quelle che amo. C’è qualche storia “reale”, c’è un po’ di musica, ci sono dei ricordi e molte, molte persone.

101 storie sulle Marche

Le Marche sono un plurale. Il nord ha tinta romagnola; l’influenza toscana ed umbra è manifesta lungo la dorsale appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ancona, città marinara, fa parte per se stessa…Nessuna città marchigiana ha un vero predominio nella regione… Ma per quanto ne accolgano i riverberi, le Marche non somigliano veramente né alla Toscana, né alla Romagna, e neppure all’Abruzzo, o all’Umbria». Così racconta Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia, il reportage radiofonico – diventato poi un libro di successo – fatto lungo la penisola da una decina d’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Sessanta anni dopo non è cambiato molto anche perché probabilmente, come osserva Piovene, a questo territorio «nuoce anche l’assenza di quegli aspetti stravaganti, sorprendenti, eccitanti, che attirano le fantasie in cerca dello straordinario». «Non si trova nelle Marche – prosegue il giornalista-scrittore – né il primitivo, né l’estremamente moderno. Nulla d’iperbolico. È una terra filtrata, civile, la più classica delle nostre terre». Nei Grand Tour, quei viaggi fra cultura e svago che nel Settecento e nell’Ottocento portano nella penisola i rampolli dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, le Marche sono solo un passaggio da o per la Città eterna. «A Roma si prende un vetturino per Ancona, col patto di far sosta a Terni per vedere le cascate più belle del mondo» narra Stendhal. Lo scrittore francese inoltre consiglia, una volta giunti ad Ancona di affittare un domestico per un giorno e visitare «San Ciriaco, antico tempio di Venere, l’arco di trionfo e molti bei quadri di scuola bolognese». Con l’unità d’Italia iniziano le prime vere esplorazioni della regione, ma se si esclude il percorso lauretano, la bassa Marca e i «dolci colli» che si levano fra l’Appennino e l’Adriatico restano comunque terra sconosciuta per la maggior parte dei visitatori stranieri. Nel 1886 l’inglese Margaret Collier, sposata con un italiano e residente per anni nel sud delle Marche, le considera l’ «altra parta dell’Italia», ma ne è comunque conquistata. C’è chi sostiene che il fascino delle Marche sia soprattutto una questione di paesaggio. Incantevole, multiforme, fatto di dolci colline, montagne anche aspre, mare, vallate verdeggianti, punteggiato di castelli, piccoli borghi, torri, chiese e campanili. Un territorio complesso che però nel suo insieme ha determinato il carattere stesso della regione. Le Marche sono una terra di confine, ricca e rigogliosa quindi nel passato molto ambita e contesa, una terra di fede meta di pellegrinaggi, una terra lontana, difficile da raggiungere, fuori dalle grandi vie di comunicazione dunque particolarmente amata da chi cerca la solitudine, ma detestata da chi questo isolamento provinciale lo teme. Secondo il Censis la regione rappresenta «il valore medio italiano». C’è chi ha definito le Marche «porta sociologica della grande provincia italiana, il termometro di una economia nazionale fondata sulla capacità di esportare delle piccole e medie imprese». Eppure non fanno quasi mai notizia. E forse anche per questo all’estero non sanno quasi mai dove collocarle con precisione. Alle Marche (dove sono nata e, a parte qualche intermezzo dovuto agli studi o viaggi più o meno lunghi, vivo da tutta la vita) sono legata da un rapporto di amore appassionato con qualche momento di insofferenza che si stempera se penso al mare e alle colline si accentua se sull’orario dei treni cerco un Freccia Bianca per Milano. Ma non potrei vivere altrove perché qui sono le mie radici.

copyright foto: me medesima, in collaborazione con uno dei gatti della mia collezione inanimata – quelli animati non si sono resi disponibili – e con il sempre valido supporto della libreria Ivar di Ikea

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E già che siamo in tema di libri vi segnalo una bella biografia dedicata al principe Eugenio di Savoia.  Wolfgang Oppenheimer e Vittorio Giovannia Cardinali ricostruiscono, attraverso documenti e fonti d’archivio, la biografia del Principe Eugenio di Savoia Soissons (1663-1736) in “La straordinaria avventura del Principe Eugenio. L’Achille sabaudo al servizio degli Asburgo” pubblicato da Mursia. Cosmopolita per formazione, Eugenio di Savoia nasce in Italia, cresce in Francia ma abbandona il Paese in seguito all’impossibilità di entrare nell’esercito transalpino per volere del re Luigi XIV e si trasferisce prima in Germania e poi in Austria. Alla corte degli Asburgo si mette in mostra – appena ventenne – nella battaglia di Vienna che pone fine all’assedio ottomano della città. Diviene nel corso degli anni il «saggio consigliere di tre imperatori» Leopoldo, Giuseppe e Carlo e viene apprezzato – persino da Federico di Prussia e da Napoleone – come uomo di Stato, statista ed esperto militare. Grande appassionato d’arte e amante del bello, è stato il committente anche del Belvedere di Vienna e collezionista di libri e quadri. Oppenheimer e Cardinali dimostrano come pensiero e azione ne facciano un precursore dell’Europa unita e testimonino una visione che va oltre la sua epoca, ponendo l’accento su una politica europea comune e promuovendo una confederazione di Stati per superare il mutevole gioco delle alleanze tra le diverse monarchie, non ancora nazioni. Uno stratega che si sentiva europeo e si impegnava per la sicurezza del continente, un vero e proprio «Europae genius».

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