31 agosto 1997, addio lady D.

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Faccio fatica a parlare degli ultimi mesi del 1997 e non per via della morte di lady Diana. Diciamo che non è stato un periodo entusiasmante. È finita un’epoca e ne è iniziata un’altra, di transizione, che è durata sei anni, sei lunghi e complicatissimi anni. Ma quel 31 agosto 1997, benché retrospettivamente parlando fosse chiaro che di nubi all’orizzonte ce n’erano parecchie, sembrava tutto tranquillo. O quasi. In effetti ho pochi ricordi di quella estate, ma uno è scolpito nella mia mente: la telefonata, nelle prime ore della mattina, che mi avvisava dell’incidente a Parigi, sotto al ponte dell’Alma. Allora, e oggi sembra davvero strano che ci sia stato un tempo in cui non potevamo accedere liberamente a tutte le notizie del mondo, si potevano solo aspettare i tg che ovviamente si sono scatenati.

Addio lady D

Nei giorni a seguire è stata una sarabanda di commenti, chiacchiere, congetture, rievocazioni di quello che poi è risultato non essere il “matrimonio del secolo”, analisi del rapporto suocera-nuora, marito-moglie fra corna, dispetti, tradimenti e crisi, del matrimonio e dell’istituto monarchico in sé. Il tutto condito da uno degli sport preferiti dall’umano genere: la caccia al colpevole. In questo caso era anche facile perché il capro espiatorio stava lì a disposizione, senza neanche cercare tanto in giro. La regina, Carlo, l’infernale macchina del sistema? No, assolutamente no. Diana, la compianta «principessa del popolo» (che io ancora mi domando come sarà venuto in mente a Tony Blair di definirla così?!?) è stata uccisa dai giornalisti, vampiri assetati di sangue, notizie e scoop. Facendo parte della categoria ci sono rimasta un po’ male anche se so che alla fine, qualsiasi cosa accada, è sempre colpa dei giornalisti *.

Gli anni mi hanno dato ragione. Su Diana, non sui giornalisti. Pur con tutto il rispetto dovuto ad una donna morta giovane e pure tragicamente, lady D. è stata e resta una persona con pregi e difetti, difficile da santificare tout court. Ha incontrato madre Teresa di Calcutta, si è impegnata in alcune associazioni, ha aderito alla campagna sulle mine antiuomo, ma nello stesso tempo ha ampiamente dimostrato di essere una donna manipolatrice, instabile e dalla personalità multipla. E nel vespaio che poi è diventata la sua vita, ci si è cacciata da sola perché, ragazzina giovane, ingenua, inesperta, con pochi interessi e zero cultura/istruzione, le era piaciuta molto l’idea di sposare il principe di Galles e diventare regina. Alzi la mano chi non si sarebbe fatta abbagliare da una simile prospettiva, dall’idea delle feste, dei gioielli, dei palazzi, ma come spesso accade in questi casi lo sguardo va poco oltre il velo nuziale.

Dal punto di vista editoriale la breve esistenza e le mirabolanti imprese di lady Diana Spencer principessa del Galles, sono state una miniera d’oro. In questi anni ho letto quasi tutto, perché la storia, ammettiamolo, è intrigante, ma ne sono uscita sempre profondamente delusa. Per questo motivo avevo rimandato sine die l’acquisto di “Lady Diana chronicles” di Tina Brown, ma alla fine con l’uscita dell’edizione economica ho deciso di fare l’investimento. Il libro è una inchiesta in puro stile giornalistico e, soprattutto, è obiettivo. Ci vuole talento (la Brown che è stata giovanissima direttrice di Vanity Fair e poi del mitico The New Yorker) determinazione e passione non comune per il giornalismo per prendere una vicenda abbondantemente saccheggiata dalla stampa scandalistica, già raccontata da maggiordomi, astrologhe, segretarie, ex amanti, e trasformarla in una storia magnetica, forse scioccante, dai risvolti di una modernità inquietante.

Lady D. non ne esce come una martire, ma neanche come una psicopatica, e l’analisi attenta e profonda del suo back ground ci consente di capire molti aspetti, apparentemente inspiegabili, della sua intricata personalità. Imprescindibile (e per la prima volta accuratamente illustrata anche ad un pubblico di profani) l’illustrazione dei complessi riti sociali e di casta dell’aristocrazia inglese della quale lady Diana era un prodotto. Educata con l’obiettivo del “matrimonio perfetto” e con il mito della famiglia reale, Diana si è inventata un amore che non esisteva e si è trovata rinchiusa in una vita non di suo gradimento. Non intellettuale, poco colta, ma abilissima nelle p.r. si è quindi costruita una magnifico culto della personalità, che è diventato l’obiettivo della sua esistenza, perseguito con accanimento fino all’ultimo giorno della sua vita. Ma c’è di più il libro su lady Diana non è solo il resoconto, spesso impietoso, di quello che è successo a una giovane donna che ha visto il suo principe trasformarsi in rospo. È lo spaccato di un decennio in cui la violazione sistematica della privacy è diventata il rovescio della medaglia della fama e della celebrità. «È stata lady Diana a dare l’avvio a questo fenomeno, nel 1995, con la coraggiosa intervista televisiva concessa a Martin Bashir della Bbc. Ha detto alla famiglia reale inglese che era distante dalla gente. Nessuno si era mai permesso, prima, di criticare in pubblico la regina d’Inghilterra», ha spiegato la Brown in una intervista. Diana ha inconsapevolmente tracciato una strada, ma lei stessa non l’ha percorsa in modo onesto. Lo sta facendo, invece, suo figlio William che sembra aver preso il meglio dei due genitori e ha capito come mescolare vita da royal e normalità, tradizione e senso del dovere, mistero della monarchia e vicinanza ai sudditi.

Adesso che siamo arrivati al quindicesimo anniversario della morte c’è da chiedersi se e come verrà celebrato/ricordato. A Londra Diana l’hanno già messa nel percorso specifico dedicato alle “principesse tristi e infelici” (a Kensington Palace), da fare eventualmente dopo quello dedicato alle “principesse decapitate” pensando che si dai in fondo le è andata anche bene, Enrico VIII le avrebbe di sicuro fatto tagliare la testa. Ma a parte l’ennesimo film (con Naomi Watts sui due ultimi anni di vita della principessa) non ci sono altre novità all’orizzonte. Comunque con un mesetto di anticipo – D del 28 luglio – Guia Soncini ha acidamente detto la sua e per quanto io non ami più molto le sue saccenti esternazioni (anni fa la sua rubrica su D era assolutamente geniale, con pezzi come quello su “Luciano il telefonista”) , devo dire che stavolta condivido quasi il suo pezzo “Perché Marilyn è per sempre (e perché tutte le altre no)”. Specie il lungo capoverso su Diana, la cui parabola, secondo Guia ci è semplicemente «venuta a noia subito dopo la botta emotiva a cadavere caldo». Lady D. era «la copia di mille riassunti… Una bionda fragile. Un’icona infelice. Una bellezza da copertina con infanzie difficili dietro il sorriso insincero, ma luminoso» quindi serviva. Ma da morta rileva Guia i rotocalchi a proposito di miti del genere sono già a posto. L’altra Marilyn appunto è meglio e fra l’altro quest’anno sono 50 anni dalla morte. Che Diana quindi riposi in pace.

 ps per chi volesse capirne di più sul mondo da cui Diana proveniva consiglio di leggere “Snob” di Julian Fellowes un romanzo irresistibile, piacevole e scritto divinamente che celebra, appunto, lo snobismo inglese e il «futile mondo di duchi e duchesse, marchesi e governanti».

 * alcuni anni fa nella città in cui vivo un noto medico ha finto un allarme bomba all’aeroporto per fermare la sua amante in partenza per le vacanze. Qualche giorno dopo un signore mi ha fermata e mi ha detto «tutta colpa vostra».

Nel 1985 Diana e Carlo hanno fatto un trionfale viaggio lungo la penisola e in in Sicilia… se volete saperne di più cliccate qui.

Qui invece la storia di uno dei diademi portati da Diana, la lover’s knot tiara 

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