Nessuno è perfetto

1808

Nessuno è perfetto, neanche il grande Federico da Montefeltro. l’umanista appassionato dei classici, il mecenate, il miglior condottiero della sua epoca, il politico accorto, il signore generoso e benevolo con le sue genti, l’uomo ovunque ammirato e rispettato che i contemporanei definiscono la “luce d’Italia”. Federico, che dal suo splendido Palazzo ducale di Urbino domina il Rinascimento, deve la signoria a una morte improvvisa, quella del fratellastro Oddantonio. E forse il futuro duca non è del tutto estraneo alla prematura dipartita del giovane signore di Urbino. La successione a Guidantonio da Montefeltro si svolge senza particolari problemi e soprattutto nella «sacralità delle leggi». Il conte di Urbino – padre di entrambi – aveva lascia un testamento molto preciso: Oddantonio, il figlio maschio tanto atteso, nato dal suo secondo matrimonio con Caterina Colonna, è l’erede universale di tutte le sue «possessioni e case e terre e cose». Poi nel caso non ci fossero più discendenti maschi e legittimi, lo Stato sarebbe andato a Federico «mio figliolo legittimato naturalmente». Le femmine ovviamente sono fuori gioco, ma anche Federico in effetti è in una posizione strana perché forse non è un rampollo illegittimo di Guidantonio, ma un suo nipote, figlia della figlia (illegittima) Aura. Però al momento la cosa è relativamente importante perché il governo della città e del vasto territorio toccano, senza ombra di dubbio, a Oddantonio. Inoltre per evitare controversie, Guidantonio, sentendosi prossimo alla fine, si dà da fare perché il passaggio di potere, cioè la carica di vicario apostolico (il territorio di Urbino non è una proprierà personale dei Montefeltro, ma fa parte dello Stato delle Chiesa) sia riconosciuta senza discussioni e incertezze. Il 17 febbraio 1443 papa Eugenio IV firma la bolla che riconosce i diritti di Oddantonio e il giorno dopo Guidantonio può morire tranquillo. Fra l’altro, per completare l’opera, pochi mesi dopo il Pontefice conferisce al sedicenne vicario il titolo di duca. Una decisione rapida, ma ci sono buoni motivi: Eugenio IV sta rientrando a Roma dopo l’esilio fiorentino e ha bisogno di alleati. I Montefeltro sono potenti e stimati e il fratellastro del nuovo signore (Federico, appunto) comanda un potente esercito. Il 26 aprile nel duomo di Siene Oddantonio viene solennemente investito della sua carica. Adesso non ci sono proprio più dubbi, il vicario di Cristo in terra ha affidato Urbino ad un nuovo signore, legittimandolo sotto tutti i punti di vista. E nell’inquieta Italia quattrocentesca questo aspetto ha il suo peso: il diritto riconosciuto a un territorio, a una città, sono centrali e necessari per evitare dispute e sanguinosi contrasti. Rientrato a Urbino il giovane duca viene accolto con feste, banchetti e a luglio chiede in sposa Isotta, sorella di Leonello d’Este marchese di Ferrara. Non ha idea dell’aspetto della sua promessa, però la famiglia è una delle più prestigiose e il legame assolutamente strategico. Per un anno Oddantonio governa, però le notizie sulla sua azione amministrativa sono scarse, di sicuro aumenta le tasse, ma quello che è peggio si avvicina pericolosamente ai Malatesta signori di Rimini, vicini scomodi e nemici giurati dei Montefeltro. Tutto qui, fino alla notte fra il 22 e il 23 luglio 1444 quando una dozzina d’uomini armati entra nella residenza ducale e con una trave sfonda la porta degli appartamenti di Oddantonio. Manfredo Pio, uno dei consiglieri del duca, riesce appena a impugnare la spada ed è subito trucidato. Dopo di lui tocca a un altro degli uomini vicini al signore di Urbino, Tommaso di Guido dell’Agnello che si nasconde sotto a un letto, viene trascinato fuori e pugnalato. Oddantonio svegliato dalle grida cerca di nascondersi, chiede pietà, ma gli assassini lo finiscono con due pugnalate e un colpo d’ascia sulla testa. A ulteriore spregio i cadaveri sono gettati dalla finestra e una volta in strada la gente si accanisce. Enea Silvio Piccolomini nei suoi “Commentarii” racconta che qualcuno si prende la briga di tagliare il membro di Oddantonio e di infilarglielo fra i denti. Se è vero si tratta di un gesto simbolico. Gira la voce che il duca sia un dissoluto e che, in compagnia di consiglieri altrettanto depravati (appunto i due uomini che sono stati “giustiziati” insieme a lui), va in giro a stuprare fanciulle e donne sposate. Fra i congiurati infatti c’è anche il medico Serafino de’ Serafini la cui giovane moglie sarebbe stata violentata da Manfredo Pio.

Piccolomini aggiunge un dettaglio, l’omicidio sarebbe avvenuto durante un tumulto cittadino scoppiato perché Oddantonio non ha ereditato l’umanità dei suoi precedessori. Insomma, gli urbinati avvezzi al buongoverno dei Montefeltro si ritrovano ad avere in casa un ragazzo debole e dal carattere instabile, dominato da personaggi «cativi e scelerati». L’unica possibilità quindi è farlo fuori e chiamare al suo posto il “fratellastro” Federico che al momento si trova a Pesaro e appena avuta notizia degli accadimenti si precipita a Urbino. Cioè a dire il vero lui la mattina del 23 è già sotto alle mura della città ducale e c’è subito chi osserva che i 35 chilometri di strada in parte su un territorio montuoso sono stati percorsi con una certa rapidità. Forse il giovane Montefeltro “irregolare” era già da quelle parti, pronto ad approfittare della situazione. La questione comunque si risolve in fretta: i “dissidenti” presentano al condottiero un documento con una serie di richieste (tutela delle libertà comunali, annullamento dei provvedimenti presi da Oddantonio fra cui l’aumento delle tasse, perdono ai congiurati) e Federico si affretta a firmare. Anche questo avvicendamento si svolge in fretta e senza particolari traumi se non fosse che in giro ci sono ancora tre cadaveri.

L’ombra di questi morti aleggerà per sempre intorno al grande Federico anche perché numerosi sono i motivi che fanno pensare ad una sua connivenza. I contemporanei per esempio ne sono quasi convinti: Piccolomini, futuro papa Pio ii, non nasconde che senza l’appoggio di Federico i congiurati probabilmente non avrebbero osato agire e Alfonso duca di Calabria definirà con rabbia il magnifico signore di Urbino un «secondo Caino». Ma, come fa notare lo storico Bernd Roeck «il fatto più eclatante è che Federico otterrà il titolo ducale solo il 21 agosto 1474, trent’anni dopo l’assassinio e guarda caso per il diritto romani è proprio quello il termine per la prescrizione delle accuse».

Inoltre, uno degli uomini coinvolto nel complotto e nell’assassinio è Pierantonio de’Paltroni, cancelliere di Oddantonio ma in seguito uomo di fiducia e addirittura biografo di Federico, definito il salvatore della Patria dopo la morte del fratellastro. Ma è davvero possibile che il coltissimo e saggio Federico, l’intellettuale che si è formato alla scuola di Vittorino da Feltre, si sia potuto macchiare di un omicidio tanto efferato? Di certo il futuro mecenate e grande amico di Piero della Francesca (al quale dobbiamo il ritratto più emozionante e realistico del signore di Urbino) è un uomo del suo tempo. Nel bene e nel male. Federico è un guerriero, un politico, uno stratega e in certi casi ha dimostrato di non avere scrupoli. Come condottiero sarà molto spesso spietato, come tanti altri all’epoca e forse essere soltanto un comandante militare senza alcun potere effettivo sulle terre della famiglia gli pesa. Il malgoverno di Oddantonio probabilmente è un ottimo pretesto per agire; all’epoca Federico dei fatti ha ventidue anni ed è nel pieno del vigore fisico e intellettuale, inoltre, cosa non da poco, ha al suo servizio un esercito di fedelissimi. Urbino è sua e lo sarà per quasi quaranta anni. Diventerà uno dei centri riconosciuti del Rinascimento italiano e lui, il duca, «primo dei grandi uomini in cui si ritrovano tutte le virtù, come uomo universale, erudito, architetto, uno di stato e condottiero». Almeno così lo giudica il libraio fiorentino Vespasiano di Bisticci nel suo “Le vite”.

E anche se forse non ha fatto uccidere il fratellastro, di sicuro il grande Federico è uno dei uno dei mandanti dell’omicidio di Giuliano e Lorenzo de’ Medici. Il coinvolgimento, a lungo sospettato, ma mai provato, del duca di Urbino nella congiura dei Pazzi è una certezza da quando lo storico Marcello Simonetta, discendente di Cicco Simonetta cancelliere degli Sforza di Milano, ha decifrato, proprio grazie a una sorta di manuale redatto dall’antenato, una lettera criptata inviata proprio da Federico due mesi prima del fatto di sangue. La congiura, presentata fino ad oggi come un “affare di famiglia” promosso dai Pazzi avversari dei Medici è, in effetti, ben altro. Dietro a questa sanguinaria saga familiare si nasconde un vero e proprio intrigo internazionale, sul cui sfondo ci sono, più o meno nascosti, tutti i grandi personaggi dell’epoca: papa Sisto iv (Francesco Della Rovere) e suo nipote Girolamo Riario, il re di Napoli Ferrante d’Aragona, la Repubblica di Siena e il duca di Urbino appunto. Federico, condottiero e feudatario della Chiesa, aspira a ingrandire le sue terre e nella lettera scoperta da Simonetta nell’archivio della famiglia Ubaldini di Urbino scrive ai suoi interlocutori romani (dietro ai quali si cela il potentissimo papa Della Rovere) di essere disposto, una volta fatti fuori i Medici, a marciare con le proprie truppe su Firenze per conquistare la città. Un uomo del genere avrebbe esitato a far massacrare il fratellastro?

Forse no e forse proprio per questo sulla sua stirpe di Federico si abbatte uno strano e crudele destino: la peste stronca in giovane età il figlio illegittimo Buonconte, l’amatissima seconda moglie Battista Sforza muore pochi mesi dopo avergli dato l’unico maschio dopo una serie di femmine, lasciandolo nella più totale disperazione, il figlio Guidubaldo, duca a soli dieci anni dopo la morte del padre nel 1482, perderà Urbino entrata conquistata da Cesare Borgia, ma quello che è peggio, misteriosamente impotente non riuscirà a dare un erede alla dinastia. Per fortuna Federico ha intessuto una accorta politica matrimoniale e ha sposato una delle figlie Giovanna a Giovanni Della Rovere, nipote di papa Sisto iv e fratello di papa Giulio II il quale acconsente a un passaggio del vicariato a un nipote Francesco Maria Della Rovere, prontamente adottato dallo zio Guidubaldo. Valoroso condottiero, marito della bella e intelligente Eleonora Gonzaga, Francesco Maria è po’ chiacchierato per alcune controverse scelte militari e finisce avvelenato. Un secolo dopo, nel 1631, a causa di una serie di matrimoni infelici e soprattutto sterili, i Montefeltro-Della Rovere si estinguono nella linea maschile e il territorio di Urbino torna alle dirette dipendenze della Chiesa.

dittico

Ecco il celebre dittico dei duchi di Urbino (che poi all’epoca Battista era probabilmente già morta, per questo la sua aria spettrale e quindi non fu mai duchessa, ma solo contessa di Urbino) nel lato dei ritratti. Il capolavoro di Piero della Francesca è oggi agli Uffizi di Firenze.

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su http://ricettereali.blogspot.com La cucina alla corte dei Montefeltro

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