Umberto II, la giovinezza di un futuro re

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Con grande piacere pubblico il contributo di Alessandro Sala – lettore, amico, appassionato commentatore del blog e grande esperto di Casa Savoia- sulla giovinezza del principe di Piemonte, il futuro Umberto II. Trent’anni fa moriva dell’ultimo re d’Italia che ricorderemo con una serie di post.

Di Umberto II si sa tutto e niente. Tutto del principe e del re, ma poco o niente dell’uomo nel privato, delle sue abitudini, dei vizi o delle manie. Piano piano negli anni tra libri, interviste e visite guidate a castelli ho messo insieme vari particolari della sua vita (per il momento soprattutto del periodo della sua giovinezza) che permettono di raccontarne degli aspetti poco conosciuti e che nelle biografie non vengono presi in considerazione, in quanto di poco conto o perché si preferisce parlare solo del suo rapporto con la moglie.  Umberto nacque a Racconigi, in provincia di Cuneo, non si sa se per tradizione (il principe di Napoli nasceva a Napoli mentre quello di Piemonte in Piemonte) oppure se per il semplice fatto che Vittorio Emanuele III e la regina Elena erano soliti passare il mese di settembre e una parte di quello di ottobre in villeggiatura nel castello dei Savoia-Carignano, tanto caro a Carlo Alberto che lo trasformò in una dimora reale. Erano le undici di sera del 15 settembre 1904, il nuovo principe ereditario venne alla luce durante un violento temporale che fece saltare la corrente elettrica in tutto il castello. Il parto fu piuttosto tranquillo e fu una fortuna visto che l’ostetrico della regina partì direttamente da Napoli, il dottore salutando la moglie disse profeticamente “vado a far nascere un principe di Casa Savoia” e così fu! La stanza dove nacque esiste ancora oggi, tale e quale a quella notte. Era la camera da letto della regina Elena, costruita ad imitazione della cabina del panfilo reale su cui fece il viaggio di nozze (particolarità: il letto è molto basso per la comodità di Vittorio Emanuele III), e che Umberto destinò a Maria José dopo aver ricevuto il castello come dono di nozze da parte del “padre re”.

2 camera da letto della regina Elena

Una delle prime persone ad essere avvisata in fretta e furia del parto fu la regina madre Margherita, che in quei giorni si trovava alla Palazzina di caccia di Stupinigi, alle porte di Torino. Diede subito l’ordine di preparare la carrozza e partire, arrivò a notte inoltrata. Quando il figlio le disse che il nuovo principino si sarebbe chiamato Umberto ebbe un sussulto e si commosse al ricordo del marito, morto solo quattro anni prima. A causa di uno sciopero generale l’unico quotidiano a pubblicare quella che era una notizia importantissima fu il Corriere della Sera. Sentito il parere del Vaticano, Umberto ebbe il singolare privilegio di essere battezzato due volte,  il 16 settembre a Racconigi e il 4 dicembre a Roma in pompa magna, i padrini furono Guglielmo II ed Edoardo VII, ovviamente rappresentati per procura da dei parenti. Vittorio Emanuele III avrebbe voluto rompere la tradizione e dare al figlio il titolo di principe di Roma, ma la nonna Margherita (donna che, come diremmo oggi, portava i pantaloni) convinse il re ad evitare un gesto che avrebbe irritato il Vaticano e a Umberto, come prescrive la regola, venne assegnato il titolo di principe di Piemonte. La sua istruzione fu severissima, soprattutto a cura di militari, in particolare all’ammiraglio Bonaldi (i suoi metodi duri sono raccontati spesso dalle biografie), tanto da renderlo invidioso della libertà di cui godevano le sorelle. Un episodio raccontato dal suo professore di economia ci conferma quanto fosse tenuto lontano non solo dalla vita politica ma anche dalla semplice vita quotidiana: “ durante una lezione mi chiese se, per cortesia, potevo mostrargli un biglietto di carta moneta. Stupito gliene feci vedere uno da cinque lire e il principe di Piemonte lo esaminò con intensa curiosità perché né quella né altra moneta di carta era mai passata dalle sue mani”.

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Il rapporto col padre invece lo descrisse benissimo Maria José: “ lui, davanti al re, pareva paralizzato. Chinava sempre il capo. Mia madre se ne meravigliava: sembrava di essere in Cina con tutti quegli inchini”. Una volta cresciuto diventò il prince charmant, sempre sorridente e gentile con tutti. Nel privato gravitava attorno a lui una compagnia di amici e di gente raffinata, di nobili (soprattutto piemontesi e romani), di ufficiali e di sportivi accomunati dal gusto per il fasto e la signorilità. Le sorelle lo circondavano di un affetto che sconfinava nell’idolatria ed erano le sue confidenti preferite insieme alla mamma Elena. La più orgogliosa di tutte però era la nonna, la regina Margherita che disse “è un birichìn, un vero Savoia” e che gli lascerà in eredità molti dei suoi gioielli. Amava molto la storia e gli studi giuridici, era un intenditore d’arte, appassionato collezionista di ritratti, dipinti, libri e incisioni su Casa Savoia. In più conosceva cinque lingue: francese, inglese, spagnolo, tedesco e un po’ di russo, appreso dalla madre e dalle zie; inoltre si vantava anche di parlare due dialetti: il piemontese ( fino a lui quasi lingua di famiglia per i Savoia) e, con qualche incertezza, il napoletano. Amava lo sport, giocava molto a tennis (fece fare un campo da tennis nei giardini del Quirinale, mentre da bambino ci giocava nell’odierno salone dei Corazzieri, dove era anche solito pattinare) ed era un tifoso appassionato, come il padre, della Juventus, mentre non era un grande amante della caccia, che comunque all’occasione praticava.

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Umberto con il padre e le sorelle Jolanda, Mafalda e Giovanna

Nel ’25 andò a vivere a Torino; decise di abitare a Palazzo Reale nell’appartamento tradizionalmente destinato ai principi ereditari, occupando in totale trenta sale, che per l’occasione vennero restaurate e modernizzate, dotate di termosifoni (inseriti nei camini) e bagni moderni. Se ogni sovrano sabaudo prima di lui aveva saputo trovare in un architetto l’interprete della propria immagine dinastica in chiave artistica, Umberto fu il primo e unico principe che dispose personalmente della propria residenza, arredandola con gusto sicuro, scegliendo i pezzi migliori degli altri appartamenti del palazzo e facendo acquisti personali per completarne la sistemazione. Altri mobili vennero trasferiti dal Quirinale in una sorta di viaggio di ritorno, in quanto la regina Margherita per arredare il palazzo romano lasciato vuoto dai papi, oltre a usare la mobilia delle regge di Parma, fece giungere da Torino tappeti, arazzi, porcellane, argenti, capolavori del Piffetti, carrozze e chi ne ha più ne metta.  Dopo il matrimonio destinò alla moglie le stanze che furono della regina Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele II, alle quali però fece poche modifiche (oltre ai termosifoni e ai bagni), le regalò un pianoforte a coda e le fece portare in camera da letto un bellissimo inginocchiatoio del Piffetti, intarsiato con legni pregiati avorio tartaruga e madreperla. Era spensierato, allegro e burlone ma non tollerava la volgarità. Quando una persona gli era simpatica la chiamava sempre con un diminutivo, con molto orgoglio posso dirvi che nella dedica che fece alla mia bisnonna (Caterina detta Rina), che era dello stesso anno di Maria José, scrisse: “alla cara Rinuccia per essere sempre ricordato”.

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I cinque figli dei re d’Italia, Jolanda, Mafalda, Umberto, Giovanna e Maria

Gli piaceva la musica, suonava il piano e amava ballare il tango; mentre Maria José amava la musica da camera, lui preferiva frequentare i teatri dialettali o andare a vedere il cabaret. Con il suo gruppo di amici ne combinava di tutti i colori, si beffava di signore e, soprattutto, di gerarchi a cui faceva scherzi, anche pesanti, pare che uno finì  a bagno in una fontana ghiacciata. Una sera al circolo del Whist (fondato da Cavour mi sembra nel 1840, ancora oggi è il più esclusivo di Torino, basta dire che è in un bellissimo palazzo nobiliare in piazza San Carlo) entrò travestito da Pierrot, si lanciò nelle danze sussurrando frasi galanti all’orecchio delle signore. Poi, dopo alcune piroette, andò verso l’uscita, salì a cavalcioni sulla balaustra e scivolò via con una lunga risata. Per la sposa Maria José disegnò personalmente l’abito nuziale, quelli del corredo e buona parte dei gioielli che le regalò. A Napoli, per il battesimo di Maria Pia, la sua primogenita, si occupò personalmente della decorazione della cappella, lavorando fino a tarda notte con falegnami e artigiani. Lo stesso accadde con l’ostensione della Sacra Sindone (che lui lasciò in eredità al Papa) nel 1931 che lui, religiosissimo, curò personalmente. Amava i dettagli e i piccoli particolari. Tutto il resto è storia o quasi, spero di avervi raccontato cose poco note, interessanti e di essere riuscito a fare un ritratto fedele dell’Umberto nel privato prima della guerra, sicuramente il periodo più felice della sua vita.

Alessandro Sala

copyright foto:

sito castello di Racconigi www.castellodiracconigi.it, sito www.reumberto.it

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